Campo Carità

Sette giorni al servizio degli ultimi

Edzione 2019

“Quel sorriso che cambia la giornata a qualcuno”

Testimonianza di Agnese e Juri

Riportiamo la testimonianza di Agnese e Juri, che hanno partecipato alla prima edizione del Campo Carità a Roma, dal 10 al 18 agosto. Un’esperienza proposta dall’equipe di pastorale Giovanile e Vocazionale della Famiglia dell’Amore Misericordioso per avvicinare i giovani ai poveri, maestri di vita e beni più cari a Gesù, come soleva ricordare e insegnare la Beata Madre Speranza.

Confesso che finora, preparando questa testimonianza, il timore che ho avuto è che non rendesse abbastanza quello che abbiamo vissuto. Chi sta scrivendo ora è Agnese, ragazza di 24 anni con tante aspirazioni e tanti dubbi nella vita. Scrivo anche da parte di Juri, ragazzo di 25 anni – nonché mio fidanzato -,matematico di natura e di studi e che con le parole fa una certa fatica (ecco perché ha delegato a me la testimonianza scritta). Qualche tempo fa, ci siamo proposti di raccontare al nostro gruppo GAM (Giovani dell’Amore Misericordioso) di Jesi (nelle Marche) l’esperienza del campo-carità, iniziato il 10 agosto e terminato il 18 agosto. Abbiamo pregato, riflettuto e rivissuto nella memoria i momenti più significativi del campo, prima di fare la nostra testimonianza. Ora cercherò di fare lo stesso. Se io e Juri ci siamo svegliati alle 3 di notte del sabato mattina per prendere il treno per Roma e partecipare a un campo di servizio alla mensa della Caritas vicino a Roma Termini, saltando la grigliata di “Ferragosto” con gli amici, è perché abbiamo ricevuto la proposta giusta al momento giusto. Il tempismo perfetto dell’invito, infatti, ci aveva fatto pensare che il Signore avesse bisogno di noi proprio lì. E i frutti sono stati tanti. Juri, che di solito è piuttosto taciturno e poco espansivo, è diventato amico di tutti gli ospiti della mensa della Caritas e alla fine del campo era talmente felice dell’esperienza vissuta che si interrogava sulla possibilità di farlo di mestiere (la mensa, infatti, si serve dell’aiuto di volontari ma è gestita normalmente da operatori che lavorano lì). Io, che tendo a pensare che per fare del bene serva essere degli eroi e salvare il mondo, mi sono accorta in quei giorni che anche un semplice servizio, come registrare gli ospiti al loro ingresso o servire loro un piatto di pasta e farlo con il sorriso, cambia la giornata di qualcuno. Perché la verità è che molti di loro non hanno solo bisogno di un pasto: hanno bisogno di mangiare, certo, ma soprattutto hanno bisogno di sentirsi qualcuno, di sentire che non sono un pesante fardello che preferiamo scrollarci di dosso, ma persone. Ho visto che la loro prima povertà, oltre a quella materiale, era la solitudine. Contro ogni mia aspettativa, però, ho anche visto persone entrare in quella mensa, ricevere il loro pasto, consumarlo e uscire da lì senza mai smettere di sorridere, e questo mi ha insegnato molto. Le povertà di questo mondo sono migliaia e di mille tipi e non serve essere degli eroi per fare qualcosa di buono. Quello che penso ci serva sia riscoprire quello che diceva San Lorenzo martire poco prima di morire: «Sono i poveri il tesoro della Chiesa». Perché? Servirebbe un trattato per spiegarlo; quello che noi abbiamo vissuto è che mettendosi a servizio si riceve più di quanto si dà: in quei giorni, noi regalavamo tempo, impegno fisico, un sorriso e un ascolto disponibile, ma in cambio ricevevamo lezioni di vita, calore e gentilezza dove meno ce l’aspettavamo e la gioia di aver donato qualcosa di noi. La gioia, in particolare, di averlo donato a Gesù. Perché sappiamo che ogni cosa che abbiamo fatto a ciascuno di quei fratelli più piccoli, lo abbiamo fatto a Lui (Mt 20, 40). E questo le Ancelle dell’Amore Misericordioso, che ci accompagnavano nel servizio e che nel corso delle mattinate curavano i momenti di preghiera e di catechesi – fondamentali per vivere i momenti di servizio con vera carità -, ce lo hanno spiegato e dimostrato molto bene.